Un cuore solitario del Cosmo

                                                              Una vita e l’astronomia, l’astronomia e la vita

 

 

 L'inizio                                                                      

 

Sono nato il 24 marzo 1946, a Napoli, Vico Cappuccinelle  a Tarsia 13, unico figlio di una giovane coppia per puro caso sopravvissuta ai giorni terribili della II guerra mondiale. Mio padre Walter , appassionato cacciatore,era impiegato in una vecchia ditta inglese di abbigliamento ,Gutteridge & Co, situata nella centrale Piazza Dante, , dove lavorava anche mia madre Letizia.

 

                                                                     

                                                                Mio padre Walter e mia madre Letizia all’epoca del loro fidanzamento  nel 1940

 

 

 

 

 

I miei genitori a piazza S. Marco a Venezia, in viaggio di nozze, nel 1941

 

 

 

A ben vedere, la mia nascita era stata la più evidente dimostrazione della potenza del caso, o della volontà di Dio, a seconda delle diverse convinzioni filosofiche.Nel 1943 mio padre era stato seriamente ferito dalle schegge di una bomba di mortaio tedesca esplosagli a pochi metri, la stessa bomba che aveva prematuramente concluso il destino terreno di un fratello di mia madre.Sanguinante dalle ferite di innumerevoli schegge, mio padre si trascinò a casa, rifiutando il ricovero in ospedale,sembrava che stesse per morire per la grave perdita di sangue,ma , grazie all’intervento di un amico  ufficiale medico dell’esercito che gli portò subito un pacco di biscotti e della marmellata per sostenerlo e che , cosa ancora più importante,gli inoculò il siero antitetanico allora introvabile, riuscì a riprendersi ed a salvarsi.Pochi mesi dopo, mia madre era rimasta miracolosamente incolume, nonostante avesse preferito restare a casa e non scendere nel ricovero di fortuna durante un bombardamento, da una bomba di aereo da 500 Kg caduta nel vicino giardino, affondata nel terriccio molle, e non esplosa .Quando nacqui la seconda guerra mondiale era terminata da pochi mesi, e Napoli era la terra di frontiera descritta molto bene da Curzio Malaparte nel suo celebre romanzo “La Pelle”.L’occupazione americana era ancora in corso, e così le “Am Lire”.Io non potevo rendermene conto, ma la svolta epocale del paese, il passaggio dalla dittatura e dalla guerra alla democrazia ed alla libertà, dalla monarchia alla repubblica, era ormai cose acquisite, seppure in un contesto sociale  lungi dall’essere stabilizzato ed una economia a dir poco allo sbando, con un enorme lavoro di ricostruzione di strade, aeroporti, fabbriche ed infrastrutture in genere, che non poteva attendere.

Dai  racconti di mio padre conobbi molte più cose di quel periodo di quante ne avrei poi apprese dai libri, dai films, e da qualsiasi altro mezzo di informazione successivo: un pezzo di storia e di vita vissuta, come il famoso episodio del whisky “made in Naples” e dell’iracondo ed ubriaco sergente dei Marines che lo voleva a tutti i costi.Il racconto, narrato da mio padre con divertente arguzia tanto che mi appassionava sentirlo anche dopo molte volte, era semplice ed istruttivo: vivendo in una ditta inglese,egli  era un discreto conoscitore della lingua dei suoi datori di lavoro, che praticava spesso, così come frequentava, per amicizia di caccia col proprietario, un baretto situato a Portalba, uno dei tanti nati come per incanto nel periodo dell’occupazione per sbarcare il lunario approfittando della inestinguibile sete di alcolici degli occupanti americani ed inglesi.Una mattina,del luglio1945 andando a visitare il suo amico, aveva potuto assistere, con grande meraviglia e curiosità, alla preparazione di un ottimo whisky di produzione locale: in una bacinella capiente piena di alcool denaturato a 90° (l’unico che allora si poteva trovare) il tizio aveva versato un po’ d’acqua, zucchero e tintura di iodio quanto bastava e per dare, a suo dire, un tocco di sapore al miscuglio; la cosa aveva fatto una certa impressione su mio padre, che pensava a che tipo di stomaco dovessero avere i militari d’oltreoceano  per digerire quella mistura.La riflessione ebbe poi una attuazione pratica l’indomani, quando ritornò al baretto  per conversare con l’amico di caccia,ed ad un certo momento videro entrare,esagitato e con manifesti segni di ubriachezza, un corpulento sergente dei Marines con una altrettanto vistosa Colt 45 alla cintola.Con un pugno sul banco, il sergente ordinò: Hey, Joe, gimme a Wisky, just now!Un po’ timorosamente il barista , che masticava poco l’inglese, gli ribattè, con parole suadenti, “wait a minute:, I’m going to take it”.Ma l’americano non voleva sentire ragioni, strabuzzando gli occhi, urlando e sbattendo i pugni sul bancone, insisteva “NO, just now!” e, per dare più valore all’intimazione, estrasse la grossa Colt puntandola in faccia al povero barista,che, terrorizzato e farfugliante implorò mio padre di intervenire e spiegare all’energumeno che avrebbe avuto il  suo whisky entro qualche minuto (il tempo di andare nel retrobottega e prepararlo).Vista la piega presa dagli eventi, mio padre, che non era certo un vigliacco, cominciò con voce ferma a pregare l’americano di metter via l’arma, dato che il liquore sarebbe arrivato tra poco, e, conoscendo il debole degli americani per i bambini, spostò abilmente la discussione sulla famiglia chiedendogli se avesse figli e cosa facessero.In breve,sembrava avesse toccato il tasto giusto, e la chiacchierata andò avanti per parecchi minuti, alla fine con pacche sulle spalle da parte del militare alticcio.La ovvia conseguenza dell’improvvisa amicizia fu che, tornato l ‘uomo del bar con l’immonda mistura color ambra, il sergente con voce amabile, ma ferma disse: “hey, barman: two whiskies, one for me and another one for my friend Walter!” dire che mio padre impallidì all’offerta è un eufemismo, ma la pistola faceva ancora bella mostra di sè ed il sergente non sembrava essere ancora nel pieno delle sue facoltà, anche se un po’ più calmo.Fu giocoforza quindi assecondarlo e trangugiare il primo bicchierino, di fronte al barista che assisteva impotente ed impaurito allo stoico sacrificio di mio padre: al primo seguirono altri nove bicchierini  prima che l’americano crollasse di peso sulla sua sbornia ed intervenisse la Shore Patrol per portarlo via.Naturalmente il seguito naturale della cosa fu una settimana di atroci dolori di stomaco, mitigati da tisane e riso in bianco, data la totale assenza di medicinali nel periodo.

Ma i racconti di mio padre, per quanto bellissimi e vividi nella loro rappresentazione, con una mimica degna di un consumato attore,non esaurirono certo la memoria del periodo.

Nei primi ricordi, impressi in modo indelebile nella mia mente, ci sono le innumerevoli case distrutte ,diroccate, sventrate che osservavo con occhi incuriositi sulla strada di casa.Chiedevo a mio padre e mia madre come mai quelle case fossero così, e ricevevo sempre la stessa risposta: “le bombe”, parola che alle mie orecchie innocenti prive di esperienza suonava come la descrizione dell’oggetto misterioso di un programma televisivo che sarebbe divenuto celebre qualche anno dopo, e mi lasciava insoddisfatto e sgomento.

Ricordo anche le estati al mare (anni 1949-50) a Licola, vicino Napoli, quando la spiaggia era raggiungibile facendo lo slalom tra una serie di reticolati di filo spinato con numerosi cartelli con teschi e tibie incrociati e la scritta “Vietato passare -Pericolo di Morte”.Certo, i numerosi pezzi di metallo e tubi strani che osservavo al di là dei reticolati sembravano oggetti interessanti e ai miei occhi di bambino, ma non facevo a tempo ad osservarli che mia madre mi strattonava e mi trascinava via, sino alla spiaggia, dove mi attendeva una camera d’aria di camion di colore nero che era la mia ciambella, dato che non sapevo ancora nuotare, ed il mio giocattolo preferito. L’immagine è rimasta cristallizzata nei miei occhi e nel mio immaginario, e probabilmente lo sarà sino a che avrò vita: il nero lucido della gomma contrapposto all’estremo chiarore della spiaggia illuminata dal sole,e dall’azzurro del cielo ed il blu profondo del mare: non c’erano buste di plastica, oggetti strani ed altri elementi inquinanti, allora, c’erano solo i pesci  sin quasi a riva, e le telline che venivano fuori scavando appena nella sabbia,una spiaggia vuota ed un magico torpore senza tempo.

 

 

Mio padre aveva intanto dato, nel 1950 mi sembra, le dimissioni dalla ditta dove lavorava e, con un socio siciliano, aveva aperto un negozio di abbigliamento in Via Domenico Capitelli 22, ad angolo con la centralissima Piazza del Gesù: era un bel negozio, con quattro vetrine e con una insegna di ottone “Walter Mete” su marmo bianco che troneggiava sulle vetrine ed attirava l’attenzione dei passanti: in quel negozio avrei poi trascorso molto tempo della mia prima gioventù.Oggi il suo posto è stato preso da due diversi negozi, una tabaccheria ed una ditta di gadget e articoli da regalo: il tempo non perdona e diversifica e cambia la nostra realtà.

 

 

 

 

Nel punto in cui si trovava il negozio di abbigliamento di mio padre oggi c'è una tabaccheria ed un negozio di gadget

 

Il Natale di quell’anno fu un evento eccezionale, perlomeno per me, dato che ricordo come un flash il calendario a fogli bianchi con la scritta rossa -1950- 25 dicembre- e l’automobilina a pedali che mio padre mi aveva regalata: era avvolta in un sacco di iuta (allora gli imballi erano piuttosto approssimativi) e, cosa che non mi piacque molto, era color azzurro anziché rossa, come l’avrei voluta, ma si sa che non sempre i desideri corrispondono alla realtà, quindi mi ci misi subito dentro cominciando a scorazzare per l’enorme casa di Via Cappuccinelle a Tarsia 13 , nel ventre di Napoli (non so quanti metri quadrati fosse, ma oggi ci farebbero sicuramente tre appartamenti) senza riguardo per sedie e suppellettili, sotto lo sguardo smarrito di mia madre , che non sapeva se ridere od arrabbiarsi.

 

La scuola

 

 

L’anno dopo i miei mi iscrissero all’asilo, in un Istituto parificato retto da una suora spogliata e che nulla aveva a che fare con la chiesa, lì ebbi il mio primo impatto con la realtà del mondo che mi circondava estraneo alla famiglia, e questo non fu , perlomeno all’inizio , molto positivo dato che le maestre avevano la pessima abitudine di avvalorare i loro insegnamenti ed evidenziare gli errori degli alunni a suon di bacchettate sulle mani.Data la vicinanza dell’Istituto al negozio (circa 100 mt, se ben ricordo), generalmente tornavo da solo dai miei, e quindi grande fu la meraviglia di mio padre quando dopo qualche giorno venne a sapere che mancavo da scuola, (me ne andavo in giro) anche se loro mi accompagnavano la mattina, ed io puntualmente ritornavo il pomeriggio.La ramanzina allora fu inevitabile e dura, dato che mio padre non scherzava: ma, quando apprese i motivi del mio marinare la scuola ed i metodi educativi dei maestri, ricordo un deciso “ora ci penso io”: non so quello che disse o che fece, so soltanto che da quel momento in poi tutto andò per il meglio ed i sistemi educativi spicci degli insegnanti cessarono d’incanto, segno che la mia ferma reazione di bambino aveva prodotto dei risultati.

Venne il periodo delle elementari, e fui iscritto ad una scuola parificata di un certo livello: Il Convitto nazionale Vittorio Emanuele II, dove finalmente conobbi i positivi (e negativi) aspetti di una scuola degna di tale nome.Studiavo e mi impegnavo a fondo, come poi avrei fatto nel resto della mia vita, e ricordo che tra i banchi della prima elementare mi rodevo in modo forse eccessivo  il fegato quando il mio compagno di banco, nell’ora di calligrafia, sfoggiava un bellissimo pennino col quale riusciva a fare ghirigori e svolazzi senz’altro migliori dei miei, per quanto impegno e buona volontà ci mettessi.

 

 

Fulvio in 1^ elementare, nel 1952, a sei anni, nella penultima fila dal basso, sulla destra vicino la maestra

 

La passione: come nascono i sogni che durano una vita.

 

Fu a nove anni, quando frequentavo la quarta,e correva il 1956, che venne improvviso il desiderio dell’astronomia, segnato da un evento imprevisto e per certi versi strano: un giorno, passando con mio padre per una libreria vicino al negozio, vidi in vetrina un piccolo libriccino con la copertina colorata piena di astri e pianeti: si chiamava “Le Stelle”: lo osservai affascinato per qualche minuto, poi tirai  mio padre per la giacca e dissi due parole: “lo voglio”.Mio padre credeva che scherzassi, “quello?”, mi disse, “ma cosa ci fai?” e mi guardò perplesso, ma la mia faccia intensa e decisa era inequivocabile, entrammo e lo comprò. Non appena tornati in negozio mi misi sulla cassa (il mio luogo di lettura preferito) cominciando a sfogliare avidamente le pagine, immergendomi in un mondo mai visto, che ai miei occhi aveva il sapore di un sogno ad occhi aperti, di una porta di ingresso in una realtà mai immaginata.La mia fantasia galoppava a briglia sciolta, il sole, i pianeti, l’universo intero erano ai miei piedi, ed in due giorni il libro era letto e digerito, l’indomani, quindi, alla cena serale chiesi a mio padre “ne vorrei un altro”.Ora, mio padre era un tipo pratico, un uomo intelligente e capace, ma che amava gli aspetti essenziali della vita: non era certo un teorico od uno studioso, ed assimilò quindi con difficoltà la mia nuova, inaspettata richiesta, che cadeva in una società ed un mondo nel quale primarie esigenze di vita avevano il sopravvento su qualsiasi aspetto ludico od interesse culturale: parlare di astronomia con bambini era allora come parlare del Santo Graal con aborigeni papuasi: verificare che un bambino di otto anni potesse avere un tale interesse culturale era fonte di grande meraviglia per gli adulti , allora impegnati in una vera e propria lotta per la sopravvivenza materiale in un mondo che usciva a fatica dai postumi di una guerra devastante, di lutti senza fine, di innominabili privazioni.Il pragmatismo di mio padre mi fu tuttavia di grande aiuto: mi rispose allora che avrebbe tentato di trovare altri libri, ma che non mi assicurava niente, perchè non era facile.E, in effetti, facile non era, dato che anche l’industria editoriale era uscita decimata dalla guerra e le risorse principali venivano destinate alla produzione di quotidiani, rotocalchi e qualche timido fumetto per bambini: libri di astronomia neanche a parlarne, se si escludono alcuni libretti divulgativi come quello che ero riuscito ad avere.Ma mio padre era un uomo intraprendente, e meraviglia delle meraviglie, dopo qualche giorno mi portò tre libri di astronomia usati, che non so su quale bancarella o da quale rigattiere erano stati acquistati: erano, naturalmente, tutti libri d’anteguerra, ma per me erano l’oracolo di Delfi, la fonte dell’eterna giovinezza e la Biblioteca d’Alessandria in un’unica  raccolta. Ricordo che facevo subito i compiti, appena tornato a casa, per immergermi nella lettura di quei libri , dei quali non ricordo i titoli, né che fine abbiano poi fatto: non erano nulla di eccezionale, con illustrazioni in bianco e nero,ma li lessi a fondo nel giro di una settimana.Ora cominciavo a sapere qualcosa di interessante sull’astronomia e, ricordo, lasciavo a bocca aperta ed un po’ imbarazzati gli adulti con i quali intavolavo discussioni sul tema.

Del mio primo libro mi è tuttavia rimasto un ricordo indelebile, e, quando, un giorno del 2012, ben 56 anni dopo la mia prima scoperta in quella libreria a Napoli, lo ritrovai a Roma, in un negozio di libri usati, non credevo ai miei occhi, e, ancora una volta felice, lo acquistai di nuovo: si trattava di una edizione successiva alla prima, con la copertina rigida, ma il contenuto era identico, ed i miei sentimenti pure, mentre lo sfogliavo ancora una volta ed i ricordi si affollavano nella mia mente.

 

 

Ma ero solo agli inizi, spesso , la sera, uscivo fuori al balcone di casa per osservare il cielo ad occhio nudo e mi sentivo preso da questa che era divenuta una consuetudine:lo sguardo spaziava tra le poche stelle visibili, anche allora, dalla città, ma la visione bastava per riempire il mio animo di  timore,meraviglia e riverenza: il senso dell’immenso mi prendeva  e mi trascinava con sé.

Penso che mio padre incominciasse a preoccuparsi per questa mia passione, così diversa e contrapposta alla sua, la caccia.Così cominciò a portarmi con lui in campagna, parecchie domeniche e feste comandate.La sveglia era mediamente alle tre di notte, e spesso mi doveva trascinare per i piedi giù dal letto, tanto ero riluttante a questa nuova esperienza. Tuttavia imparai presto ad estrarre le cose migliori da quella che per me costituiva una noia mortale.In genere giungevamo sul posto di caccia prima dell’alba, e così avevo la possibilità di ammirare un bel cielo stellato, lontano dalle luci della città: lo spiacevole corollario era di dovermi fare parecchi chilometri a piedi, una sorta di marcia forzata del tipo “marcia o muori” dato che mio padre, accecato dalla sua passione, non badava minimamente alla lunghezza del percorso ed alla fatica.Non solo, ma spesso voleva insegnarmi a sparare, quindi mi faceva imbracciare, già a sette-otto anni, un pesante calibro 12 ed io puntavo un oggetto lontano e tiravo, spesso, almeno le prime volte, cadendo all’indietro per il rinculo.La sfortuna volle che, presumo per una dote naturale, la mia mira era molto precisa: difficilmente mancavo il bersaglio, e, finchè si trattava di lattine, cartoni, od altri oggetti inanimati, la cosa  era diventata piacevole e mi divertiva: il brutto fu quando dalle cose inanimate si passò a quelle animate ,ed i bersagli divennero poveri uccelletti.La mia prima mattina, che fu anche l’ultima, ne presi tre su cinque colpi sparati, e mi sentii come un killer spietato,e, nonostante l’allegria ed i complimenti di mio padre che già mi vedeva ripercorrere la sua strada, promisi a me stesso che non lo avrei fatto mai più, e mantenni la promessa; continuai a seguire mio padre, ma  da allora non usai più i fucili ed anche molti anni dopo, quando presi una licenza di caccia, la utilizzai  solo per il tiro al piattello, sport che mi piaceva e mi interessava.

Intanto il paese andava avanti : era il periodo del primo Governo De Gasperi, del Piano Marshall , delle 50 lire di metallo,e della Fiat 1100 103, ma anche degli inizi della televisione.Ricordo molto bene quei cubi di legno , enormi, con un piccolissimo schermo di circa 14 pollici, quasi tutti marcati Motorola, che facevano bella mostra di se nei pochissimi negozi di ottica (l’elettronica , perlomeno a Napoli, era al di là da venire).Confesso che la nuova invenzione, che sarebbe poi divenuto il perno di uno dei grandi poteri mediatici, non mi ha mai interessato, anche se,seguendo la moda del periodo, spesso si andava a casa dei pochi fortunati che la possedevano per assistere ad alcuni spettacoli di un certo interesse.La scena era sempre la stessa: una piccola sala, in genere il salotto dell’ospite, gremita di gente come al cinema ed il televisore a volume elevato, per far sentire a tutti.Così ho guardato le varie puntate di “Lascia o Raddoppia” , con un Mike Buongiorno giovane e bravo ed i concorrenti rimasti nel mio immaginario come erano allora, giovani, belli e simpatici (per chi lo era come la Bolognani) e particolari, come Marianini, Spartaco D’Itri e tanti altri.Sono nomi che non dicono nulla alle generazioni attuali, ma sono il simbolo di un'epoca e di un'Italia vera, semplice e sincera, che spesso oggi mi chiedo se mai ritornerà.

Intanto l’astronomia incombeva, i libri si accumulavano, presi nei posti più impensati, librerie, venditori di usato, mercatini, ma non ero soddisfatto: volevo qualcosa con cui osservare il cielo stellato, e qui i problemi divennero insormontabili.Mio padre, assalito ed oppresso dalle mie continue richieste, cercò di difendersi come poteva, e mi condusse da un suo amico ottico con un negozio vicino Piazza Dante.Questi mi mostrò un vero cannocchiale, tutto in ottone lucido, con un treppiede da tavolo anch’esso in ottone. Sinceramente non saprei fare un paragone con i rifrattori odierni, ma a lume di naso doveva essere un 80 mm di diametro e 6-700 di focale.Pieno di emozione, osservai nell’oculare la vetrina di un negozio di fronte, e distinsi chiaramente i prezzi degli oggetti esposti .Intanto il commerciante parlava a voce bassa con mio padre, che vidi scuotere la testa : già presagivo un esito infausto del potenziale acquisto, ed in effetti finì proprio così, il prezzo, mi disse mio padre, era troppo elevato perché lui potesse permetterselo, quindi occorreva trovare qualcosa più a buon mercato.L’ottico tirò allora fuori da un cassetto un affaretto di circa 15 cm di lunghezza, una lente anteriore di 25 mm ed una posteriore più piccola, e lo mostrò a mio padre, che me lo diede.A pensarci bene, la potenza ottica dell’oggetto era praticamente nulla , o quasi, ma quella psicologica fu enorme: guardandoci attraverso non vedevo più con i 4 -5 ingrandimenti reali, ma il mio cervello li moltiplicava per cento o mille, l’emozione fu forte, prevedendo che stavolta l’oggetto sarebbe stato mio, e così fu.Lo strumento, nato come puntatore di un cannone, equivaleva a stento ad un mediocre cercatore di un odierno strumento di bassa fascia, e possedeva un oculare con reticolo, ma era mio, ed era uno strumento per osservare.

La sera stessa, ricordo che era in primavera, puntai l’aggeggio verso la luna, alta nel cielo.Non è che si distinguessero molti particolari, ma l’emozione fu grande: non sapevo, allora, che in futuro avrei posseduto strumenti incommensurabilmente superiori e che il piccolo puntatore sarebbe apparso poco più di un gioco, ero semplicemente felice, e questo mi bastava.

 

 

 

 A otto anni, nel 1954, con un piccolo cannocchiale avuto in  prestito.

 

 

Nel 1955 cambiammo casa, e mio padre prese in affitto un piccolo villino nel rione Materdei, alla Salita S.Raffaele 21 dove poi avrei trascorso la restante parte della mia vita napoletana, quasi un ventennio.Era un piccolo villino di tre camere con un grande terrazzo posteriore, nel quale da piccolo giocavo  ed osservavo il cielo con i piccoli strumenti a mia disposizione.L’interesse per l’astronomia era sempre vivo, ma incominciava  a dover fare i conti con interessi più immediati ed importanti: la scuola, e la mia sete di apprendere, ricordo che leggevo di tutto, come avrei fatto poi in seguito ed ancora oggi, dopo migliaia di libri di ogni genere.

 

 

La vita

Negli anni dal 1955 al 1960 continuai gli studi con impegno e buoni risultati, dei grandi eventi del periodo ricordo in particolare la fortissima nevicata del febbraio 1956, quando Napoli, e praticamente quasi tutte le grandi città italiane ed europee si bloccarono per l’inusuale fenomeno meteorologico: ricordo la gioia infantile per una realtà diversa che non conoscevo e la parte meno piacevole e successiva, quando si trattò di spalare notevoli quantità di neve: ricordo lo sguardo interrogativo e un po’ stranito di un cane da caccia che allora avevamo a casa, con le zampe affondate completamente nella neve, che sembrava dire: ed ora?.

Nel 1960 (credo sia la data giusta) presi la licenza media e si pose il problema del mio ingresso agli studi superiori.L’indecisione tra liceo e studi tecnici durò un attimo, dato che mio padre caldeggiò a spada tratta l’utilità degli studi professionali per una futura sistemazione nel mondo del lavoro, al punto da avere una completa vittoria su quell’angolino del mio animo che silenziosamente pensava alla carriera scientifica in astronomia.Mi iscrissi quindi ad un Istituto tecnico commerciale, e per precisione al V° Istituto Tecnico, che poi assunse il nome di Enrico de Nicola, a via Pietro Castellino, al  quartiere Vomero.Lì feci amicizie sincere e durature, quelle che tracciano il percorso della vita, e con un paio di tali amici sono ancora, dopo cinquant’anni, in contatto.L’inizio degli studi superiori avvenne in concomitanza con altri eventi che segnarono la società italiana: il boom economico e quello sociale, strettamente connesso al primo: la società stava cambiando, e noi con essa: la mia passione giovanile per la musica leggera , nazionale ed americana, per il rock, il twist fu rinforzata dalla diffusione del mezzo televisivo :proprio quell’anno mio padre aveva acquistato un televisore  da 16 “ che a me sembrava un oggetto mai visto,  che tutta la famiglia venerava col rito serale delle trasmissioni televisive del momento.Pur non disdegnando i bravissimi “urlatori” (così si chiamavano) nostrani come Adriano Celentano, Tony Dallara e Betty Curtis, le mie preferenze, piuttosto esterofile, andavano tuttavia alla musica americana, rock in testa.Personaggi come Paul Anka, Neil Sedaka, Peter Paul and Mary, mi accompagnarono in quel periodo con le loro musiche alle varie feste.Il mattino del 22 novembre 1963, con i due  grandi amici del tempo, uno dei quali venuto a mancare prematuramente e l'altro con cui ci sentiamo e vediamo ancora oggi, eravamo a casa mia in soggiorno a studiare ragioneria quando apprendemmo la notizia del ferimento e della morte di JF Kennedy a Dallas: la notizia ci sorprese e ci angosciò, in quanto tutti nutrivamo stima per il presidente americano progressista e deciso, che l'anno prima aveva saputo superare con grande abilità politica la crisi dei missili di Cuba, evitando al mondo una devastante guerra nucleare; ricordo che ne discutemmo a lungo, quel giorno e nei giorni successivi.

 

 

 

A 13 anni, in una gita sulla costiera amalfitana

 

Che dire: ricordo quel periodo con grande nostalgia, non della gioventù, o perlomeno non solo di quella, ma principalmente della semplicità della schiettezza , della genuinità dei rapporti umani,caratteristiche che in seguito andarono sempre più offuscandosi e poi inquinandosi con gli eventi successivi, la cd. società dei consumi , la globalizzazione, la corsa al benessere materiale a qualsiasi prezzo.Quel periodo forgiò il mio carattere come è ancora adesso, innanzitutto sincero, poi risoluto e deciso, connotazioni che , posso dirlo senza ombra di dubbio, per certi versi mi hanno aiutato a superare parecchi ostacoli, e per altri non  sempre mi hanno fatto conoscere a fondo.

In questo periodo l’interesse per l’astronomia era , come si può dire, quiescente, in uno stato di latenza che non voleva certo dire abbandono, ma che preludeva ad una successiva esplosione che sarebbe avvenuta parecchi anni dopo.Non mancavo infatti di leggere e di aggiornarmi su qualsiasi cosa che potesse riferirsi a questa scienza, e seguivo con passione la spettacolare e rapidissima evoluzione dell’astronautica, e l’affascinante epopea della conquista dello spazio, che proprio negli anni sessanta ebbe il suo culmine, con la conoscenza ravvicinata (la parola “conquista” mi è sempre sembrata eccessiva) del nostro satellite, la Luna.

Nel 1965 mi ero diplomato, e nello stesso anno mi ero iscritto all’Università, alla facoltà di Economia.Mi immersi allora in pieno nei lavori universitari, e cominciai ad apprezzare lo studio di gruppo, che effettuavo con uno-due amici e colleghi.Avevo amicizie anche con studenti stranieri, e studiai per un certo periodo con uno studente arabo, non senza sorbirmi interminabili discussioni politiche tra questo ed alcuni colleghi israeliani.Del 1968, e della rivoluzione culturale e sociale che ne seguì ricordo un concitato vocio nell’atrio della facoltà, una improvvisata barricata con sedie e tavoli di studenti che intendevano chiudere l’accesso alla stessa , per una occupazione che non ricordo quanto durò, ma non mi sembra molto.

Erano quelli anche gli anni del Vietnam, dell’impegno civile contro l’assurda guerra, del fiorire negli USA delle canzoni di protesta.I miei idoli di allora (e di buona parte della gioventù del periodo) avevano nomi come Bob Dylan,  Joan Baez ed il suono  delle loro poetiche e struggenti melodie riempiva spesso le nostre case.Era il tempo delle feste in casa, dove il Rock, il Twist, lo Shake, erano di casa.Era il periodo delle amicizie più durature e sincere, quelle che lasciano il segno nella vita: alcune durano ancora oggi, dopo oltre quarant'anni, come quella con Silvano Rubinacci, napoletano "verace" nella irresistibile arguzia e nella grande compagnia ma nordico nella precisione e nella capacità con cui faceva fronte ai suoi doveri, prima a scuola, poi all'Università, poi nella vita.Con lui e con altri ci vediamo e ci sentiamo  ancora, e la stima reciproca ha scavalcato gli ostacoli del tempo e della vita: Grazie, Silvano, per l'amicizia che supera gli ostacoli del tempo.

 

   Il mio amico Silvano con la sua compagna Marcella in una piacevolissima cena napoletana nel 2010

 

 

La vita intanto scorreva, o correva, come sarebbe meglio dire.Nel luglio 1970 mi laureai : al pranzo, presente anche la mia ragazza del periodo, per festeggiare l’evento mio padre mi donò una bellissima lettera, che fece veramente breccia nel mio cuore e colmò un decennio di incomprensioni reciproche  facendomi aprire gli occhi sulla reale essenza dei rapporti genitori- figli, che proprio quando sembrano essere lontani ed opachi sono in realtà intensi e vicini più che mai.E'incredibile, a pensarci bene,come poche parole scritte su un foglio di carta (che conservo ancora gelosamente) possano aprire l'animo e superare anni di rapporti difficili e tumultuosi.

La mia tesi, sulla teoria dei cicli economici, recava nella sua parte finale qualcosa che avrebbe fatto la gioia di molti fisici: una (libera) estrapolazione della trasformazione di Lorentz al mondo economico, per soddisfare il relatore della tesi, che in quel periodo usava proporre arditi accostamenti tra il mondo della fisica e quello dell’economia.Se a ciò si aggiunge che l’esame di analisi matematica I era lo stesso che il quel periodo si faceva ad ingegneria, si può arguire come mi fossi fatto, bene o male, una discreta e sufficiente base matematica per i miei i studi di astronomia.

Nell’ottobre dello stesso anno, in una sequenza ravvicinata, partii per il servizio militare, che svolsi al Reggimento di fanteria “Roma” di Cassino ed al Battaglione Trasmissioni  del Genio, alla Cecchignola, a Roma.Quest’ultimo fu il mio primo contatto con la città eterna, cui sarebbe seguito un intenso, futuro, stabile rapporto con essa, ma allora non potevo saperlo.Durante il servizio militare mi occupai anche di trovarmi un’occupazione stabile, cosa allora molto meno difficile di adesso: eravamo in pieno boom economico, e, grazie al mio buon punteggio di laurea mi arrivarono inviti di enti e società.Tuttavia io miravo ad una sistemazione stabile, che mi desse sicurezza per il futuro, così feci due concorsi, uno nel Banco di Napoli, ed un altro nella Ragioneria generale dello Stato, vincendoli entrambi.Tuttavia la sistemazione al Banco era per cassiere, ed allora la carriera era separata dalle restanti categorie impiegatizie, cosicché optai per il secondo.Il 13 dicembre 1971 terminai il servizio militare, ed il successivo 8 gennaio 1972, meno di un mese dopo, venni a Roma, al famoso palazzo di Via XX Settembre, oggi sede del Ministero dell’economia e delle finanze, che avrebbe segnato la restante parte della mia vita.

Iniziai la mia carriera di pubblico funzionario alla Ragioneria del Ministero della Difesa, nel vicino palazzo di Via XX Settembre, e da qui tornai poi , nel 1975 alla casa madre, dove restai sino alla fine della stessa, salvo brevi uscite , nel 1977/78 all’Istituto superiore di Sanità (dove potetti ammirare un bel laboratorio di fisica) ed all’ANAS , dal 1988 al 1995.Nel 1980 passai qualche anno all’Ufficio Studi della Ragioneria generale dello Stato, ed in quel periodo accadde una cosa che avrebbe potuto cambiare in modo decisivo la mia vita, e che  (per fortuna o sfortuna, non saprei dire ) non successe.Fui per qualche tempo in predicato per uno stage di sei mesi al Fondo Monetario Internazionale a Washington in materia di economia bancaria.Se ci fossi andato, probabilmente sarei rimasto al Fondo e non sarei più tornato in Italia, ma la cosa all’ultimo minuto cambiò direzione, e la mia amministrazione decise di non inviare nessuno.Dal 1996 al 2007, gli ultimi undici anni di carriera, occupai un posto di un certo livello e prestigio come dirigente in un Ufficio di Staff del Ministro dell’economia , l’Ufficio legislativo, punto di accumulazione di tutta la vita economica e sociale del paese, dove si esaminavano sotto il profilo finanziario i provvedimenti di legge e si seguivano gli stessi nel loro iter alla Camere : era comune, spesso, leggere l’indomani sui giornali le notizie concernenti i  disegni di legge o le questioni che contribuivo a portare avanti.Alla fine della mia carriera ero arrivato ai vertici della pubblica amministrazione, in un osservatorio dove non si guardavano stelle, ma la realtà della vita economica e sociale italiana, dove si scrivevano, si interpretavano e si contribuiva a portare avanti le norme che i cittadini dovevano rispettare.

Tornando ai primi anni settanta ebbi, oltre all’astronomia, parecchi interessi: quello della pittura, che mi spinse a dipingere parecchie tele, alcune piuttosto ben riuscite, altre meno: la maggior parte di esse furono regalate a parenti ed amici, una mi fu rubata (sic!) e solo una, una veduta marina di Napoli, è ancora in mio possesso e fa bella mostra di se nella mia casa di Montesacro  a Roma.Ebbi anche una passione per la poesia, italiana ed inglese, e mi esercitai, più per esercitazione intellettuale che per convinzione, a buttare giù qualche sonetto, che ho allegato in appendice al presente lavoro Occhi sulla vita.

Un altro interesse di quegli anni, piuttosto comune, furono le auto: mi piacevano i motori, specie quelli potenti: la mia prima macchina fu tuttavia, nel 1971, una Fiat 500, cui seguì , nel 1973 una Fiat 128 Rally 1300.Dopo furono tutte Alfa Romeo, sino all’ultima, che possiedo attualmente, una splendida Golf GTI 2000 turbo da 210 cv.

Persi mio padre nel 1975, per una brutta ed inaspettata malattia, e con lui persi la sua simpatia, la sua verve e la sua grande capacità di affrontare e risolvere i problemi della vita, ma forse una sua parte è continuata a vivere in me, e non considero ciò solo un luogo comune, ma una realtà.

Nel 1982, intanto , mi ero sposato con mia moglie , Patrizia, donna della quale non posso che intessere le lodi più sincere, per la sua straordinaria umanità, spirito di comprensione, intelligenza consapevole e pacata, ed anche pazienza non solo di sopportarmi in tutte le occasioni e gli eventi in cui il mio carattere  aveva il sopravvento, ma anche di riuscire a stemperare e mediare la durezza di questo.

Patrizia era bella, di una bellezza serena, non appariscente, ma da attrice del cinema, una espressività fuori del comune, ma non fu questo ad attrarre la mia attenzione prima, ed il mio amore poi.Erano e sono state le sue doti di carattere, come si suol dire, era bella dentro più che fuori.  Nei confronti dell’astronomia Patrizia ha dimostrato e dimostra tuttora una comprensione senza fine, aiutandomi moralmente e supportandomi in tutti i modi (oltre che, come ho detto, sopportandomi) nello svolgimento di tutti gli eventi connessi alla mia grande passione: mi segue dovunque vada, anche se il suo interesse per l’astronomia è molto relativo, se non inesistente.     

 

                                                                               

 

 

 

                                                                                     

Mia moglie Patrizia nel periodo del nostro fidanzamento, nel 1980

 

 

 

Insieme, dopo il matrimonio, sul balcone di un appartamento del quartiere Montesacro, a Roma, dal quale feci le mie prime osservazioni con un telescopio 114/900

 

Fu proprio dopo il matrimonio che la mia passione per l’astronomia segnò una svolta: la mia preparazione teorica era ormai consolidata, dopo innumerevoli libri e riviste (“L’astronomia” in testa): avvertivo la necessità di affrontare anche i risvolti pratici della mia passione; l’osservazione di stelle , pianeti, oggetti deboli e quant’altro, in una parola, mi occorreva un telescopio.Non sapevo , tuttavia, da dove cominciare in quanto non avevo alcun contatto con altri astrofili e nemmeno la più pallida idea di cosa fare.Mi autocostruii allora, seguendo i consigli del divulgatore Wolfang Shroeder nel suo libro “astronomia pratica”, che ancora possiedo, un telescopio con un tubo di plastica per documenti usando come obiettivo una lente per macrofotografia da 58 mm diaframmata a 30 mm, per 1 metro di focale.L’oculare era un contafili da 20 mm, così ottenevo 50 ingrandimenti, e la messa a fuoco era ottenuta facendo scorrere a pressione un tubo più picccolo con l’oculare entro il grande;il tutto era posto su di un cavalletto fotografico .Inutile dire che gli oggetti alla portata di un simile aggeggio erano ben pochi, la luna in testa, più facile da puntare, e fu proprio su questa che rivolsi in primis il mio improvvisato telescopio, con un certo successo.

Incomiciai intanto, approfittando per la mia passione per la fotografia, a girare per i negozi di ottica fotografica, a Roma e Milano, dove mi recavo spesso per lavoro (Miotti allora era agli inizi ed in piccolo locale) ed in uno di questi vidi la pubblicità di un telescopio a specchio da 114 mm di diametro e 900 di focale su montatura equatoriale, marcato Sky Master, che mi sembrò, sulla base delle mie scarse conoscenze, uno strumento di tutto rispetto.Lo ordinai subito, ed attesi con una certa trepidazione il suo arrivo, che avvenne pochi giorni dopo.

Ricordo che, di pomeriggio, aprii l’imballo di cartone con impazienza, strappando letteralmente la carta  per osservare l’oggetto dei miei desideri: era di color bianco e piuttosto voluminoso.Montai per primo la montatura equatoriale, restando piuttosto perplesso sul suo uso, ma non volevo perdere neppure un attimo a leggere le istruzioni, quindi vi montai subito il tubo, usandola in altazimutale per osservare un paesaggio terrestre, rimanendo estasiato dal potere di ingrandimento dello strumento.Non avrei mai potuto immaginare che molti anni dopo quello che credevo il top della strumentazione astronomica si sarebbe dimostrato un strumentino per iniziandi, da me snobbato e surclassato da un  setup da far invidia ad un Osservatorio.Il giorno dopo, comunque, lette le istruzioni e compreso l’uso dell’equatoriale, portai lo strumento fuori il balcone (allora, nei primi giorni di vita matrimoniale abitavo coi miei suoceri in una traversa di Viale Libia, nel “quartiere Africano” di Montesacro, a  Roma) e cominciai a puntarlo verso qualche stellina che riuscivo a vedere da tale improvvisata postazione, con una certa delusione.Notai allora, per caso, una stella brillante color giallognolo a sud ovest, e puntai subito il telescopio.Rimasi affascinato già dalla visione fornita da un oculare a basso ingrandimento, l’Huygens da 20 mm da 45X: gli anelli di Saturno erano ben visibili, cominciai a strillare: “ho beccato Saturno!” mia suocera corse per sapere cosa stava succedendo , e mia moglie pure, mentre io continuavo ad urlare frasi come “ è bellissimo”, “è stupendo”.Non me lo dissero mai, ma sono sicuro che mia moglie e mia suocera ebbero la netta impressione che, come si dice, mi avesse dato di volta il cervello e fossi stato pronto per un ricovero d’urgenza.Ricordo che stetti per oltre un’ora, con l’altro oculare in dotazione, l’Huygens da 6 mm a 150 X, ad osservare il tenue chiarore del pianeta degli anelli senza mai staccare l’occhio dal telescopio.

Il danno era ormai fatto. Quello che era il semplice desiderio di osservazione pratica si era trasformato in un delirio travolgente,  che produsse poi serie conseguenze: innumerevoli domeniche al mercatino di Porta Portese alla spasmodica ricerca di tutto quello che avesse il sapore di ottica e fosse capace di potenziare o incrementare la mia strumentazione, innumerevoli gite in posti di montagna isolati e dimenticati da Dio e dagli uomini, numerose vacanze estive in tali posti, con mia moglie che pazientemente condivideva, anche se a denti stretti, la mia passione ed i disagi connessi.

Poi venne, nel 1985,la nascita di mio figlio Fabio, e la passione dovette subire momenti di stasi dovuti alle inevitabili nuove esigenze familiari che si protrassero per qualche tempo.Nel frattempo, (abitavo allora in piccolo appartamento di due camere in affitto, a Montesacro), acquistai d’occasione quello che fu il mio primo telescopio serio: un Celestron 8 arancione su montatura a forcella, che riparai nella soffitta dell’appartamento, in un terrazzo condominiale.Ero ancora alle prime armi, allora, in fatto di ottica, e non potetti rendermi conto a sufficienza della eccellente qualità dello strumento, che mi regalava splendide osservazioni planetarie, di Giove, Saturno e della luna, incominciai intanto a cercare di coniugare la passione per la fotografia con quelle per l’astronomia, applicando saltuariamente la mia reflex al telescopio con una barlow 2 X, per le riprese planetarie di Giove e Saturno .Proprio una di quelle sere di autunno, verso mezzanotte, mentre al buio ero intento ad osservare vidi che , ad una certa distanza dalla mia postazione, una signora che risiedeva un piano sotto al mio stava stendendo dei panni ad asciugare.Nel dubbio che, intravedendomi nel buio potesse spaventarsi, decisi di uscire allo scoperto, nella parte illuminata del terrazzo, chiamandola per attirare la sua attenzione.Non avevo tuttavia sufficientemente pensato al mio abbigliamento: jeans logori,giubbotto di pelle e cappello calcato in testa, i sintesi, la divisa del topo di appartamenti.La  malcapitata signora lanciò all'istante un prolungato urlo di terrore, ebbe uno sbandamento, e cascò per terra in posizione seduta contro il muro, ansimando fortemente, al punto in cui ebbi timore che fosse stata colta da infarto. Quando mi riconobbe disse con voce stentorea :"Ah..è..lei..ma c..che ci fa qui al buio?".Da quel momento pensai seriamente a mettere un cartello sul terrazzo del tipo "attenzione, astrofilo in osservazione, non spaventarsi".

Fabio a 3 anni, nel 1988 : faccia tra il trucido ed il simpatico

 

Le osservazioni pratiche e l'incontro con l'Universo

 

Era il tempo della tecnica fotografica astronomica cd “del cappello”, in quanto la sensibilità delle pellicole , normalmente da 200 o 400 ISO per tale uso, non permetteva esposizioni brevi dei pianeti, ma di alcuni secondi, ed occorreva in tal caso far smorzare le vibrazioni indotte dall’otturatore della fotocamera reflex, pena l’ottenimento di immagini flou e mosse.Si metteva allora un tappo sull’obiettivo del telescopio, si apriva l’otturatore della reflex, si attendeva due o tre secondi, quindi si allontanava con delicatezza il tappo dall’obiettivo, si riprendeva e quindi, senza toccare il telescopio, si riponeva il tappo prima sul cammino ottico per interrompere l’esposizione, e poi sull’obiettivo stesso: con tutti questi accorgimenti, tuttavia, la qualità delle immagini non era nemmeno lontanamente paragonabile a quella ottenibile oggi con le reflex digitali ed i sensori allo stato solido delle camere CCD.

 

 

Il Celestron 8” che avevo acquistato nel 1986 munito di un filtro interferenziale Lumicon da 1,5A  per l’osservazione delle protuberanze sul sole

 

 

 

Continuavo, intanto, ad armeggiare con tutto quello che avesse il sapore dell’ottica: prismi, obiettivi di diametro piccolo e grande, montature, etc.Cercavo, nel contempo, di capire quanto più possibile studiando libri e consultando riviste specializzate (allora Internet era al di là da venire).Essendo figlio unico,sono essenzialmente un tipo solitario ed autodidatta, e non mi è mai venuto in mente di frequentare una associazione di astrofili, anche se allora ce n’era qualcuna a Roma.In quel periodo ci fu anche un boom di materiale ottico al mercatino domenicale di Porta Portese a Roma, si trovava di tutto, lenti, prismi, reticoli, pezzi meccanici e quant’altro: unica esigenza era capire quello che si acquistava, per non prendere oggetti inutili.Allora mi piccavo di sapere molto in campo ottico, ma non era vero, ancora oggi rimpiango il mancato acquisto di uno specchio astigmatico da 15 cm, che sarebbe stato ideale per uno dei miei spettroscopi di oggi, e che , dopo averlo comprato e constatato il suo (ovvio) astigmatismo, dato che proveniva da un monocromatore,avevo riportato indietro al venditore; il bello dell’ottica è che non si finisce mai d’imparare.

Vivevo allora nel periodo d’oro dell’astrofilia e non lo sapevo : gli anni ottanta ed i primi novanta hanno segnato un punto di svolta nella storia dell’astronomia amatoriale in Italia e nel resto del mondo: sono stati infatti gli anni che hanno sancito la definitiva vittoria dei catadiottrici, ed in particolare gli  Schmidt Cassegrain, su tutti gli altri tipi di strumenti osservativi di fascia media: il dilagare degli 8” Celestron e Meade ha portato un enorme contributo alla nascita in Italia di una platea di appassionati che, seppur non numerosa quanto quella di altri paesi, si è dimostrata piena di volontà . di voglia di fare, di osservare e di dare, entro i propri limiti strumentali , un contributo alla ricerca astronomica nel nostro paese.Gli anni settanta erano, infatti stati contrassegnati dalla modesta diffusione di rifrattori acromatici (essenzialmente giapponesi e tedeschi) di varie marche e fasce di prezzo ; da quelli commerciali ,quasi tutti giapponesi, ma comunque ottimi anche per gli standard attuali, marcati Stein, Skymaster, Milo, Mizar,  Vixen etc in genere su diametri di 60,77 , 80,90,100 e 106 mm a quelli di marche prestigiose come le tedesche Zeiss Jena, Zeiss occidentale, e la giapponese Pentax e la francese Clavè nei diametri di 63, 80 100 , 130 e 150 mm, con prezzi d’elite che purtroppo ben pochi si potevano permettere.Accanto a tali strumenti a lenti, si diffusero in quel periodo i newton commerciali giapponesi  tra i 114, 120 e 150 mm delle marche predette oltre ad alcuni Cassegrain  da 150 mm..

Tuttavia, come dicevo, l’avvento dei catadiottrici americani nei primi anni 80  produsse  il duplice effetto  da un lato  di indurre una straordinaria diffusione degli strumenti amatoriali di media fascia e prezzo, e dall’altra di permettere finalmente l’accesso a diametri sino ad allora considerati di livello quasi professionale ad un costo tutto sommato contenuto: il Celestron 14, considerato allora il punto di arrivo ed il massimo cui potesse aspirare un amatore, completo di montatura equatoriale a forcella ed alcuni accessori era venduto (listino Auriga 1986) a 23,589 milioni di lire (circa 12.300 euro attuali).

Era finita una fase pionieristica, durata dal secondo dopoguerra agli ultimi anni settanta, e ne iniziava una nuova, nella quale l’astronomia si avviava a diventare un fenomeno di massa, la madre di tutti gli hobbies, un potente attrattore d’interesse.Parallelamente  si diffondevano una serie di riviste, come l’Astronomia,  Nuovo Orione, Astronomia 2000 (che cessò prematuramente le pubblicazioni) che si affiancavano alla celebre Coelum di Guido Horn d’Arturo.

Ma quando si vive un periodo storico non  ce ne possiamo purtroppo rendere conto, e quindi io proseguii imperterrito nelle mie autocostruzioni casalinghe di strumenti ed accessori ottici, sviluppando una certa abilità ed intuito, che mi sarebbero poi servite in futuro.

Ma fu nei primi anni 90 che l’astronomia amatoriale, in Italia ed altrove, ebbe, sul piano tecnico, una svolta epocale, che avrebbe fatto impallidire i progressi tecnici nella costruzione dei telescopi: il passaggio dal sistema fotografico tradizionale su pellicola a quello digitale.Si trattò di un passaggio graduale, diluito in alcuni anni, ma non  per questo meno evidente e traumatico.I due sistemi hanno in effetti convissuto per alcuni anni, circa una decina, sino all’affermazione totale e definitiva del digitale, che nel frattempo, da applicazioni più sofisticate come quelle astronomiche era dilagato nel settore consumer, in quello fotografico di massa delle fotocamere compatte e reflex per le riprese di tutti i giorni.

Devo riconoscere che all’inizio non mi ero reso conto appieno delle enormi potenzialità dei nuovi sistemi di ripresa, anche perché all’inizio il digitale, con i suoi allora microscopici sensori, presentava difficoltà notevoli, rendendo quasi più agevole e redditizio usarli come da supporto per sistemi di guida a pellicola.Non per niente una delle prime camere digitali, la Sbig ST4, è ancora oggi usata per autoguida: tale camera fu la mia prima CCD raffreddata e durò poco in mio possesso, dato che, usandola come camera di ripresa trovai difficile, stancante e tutto sommato poco producente inquadrare oggetti nel microscopico sensore da 192 x 165 pixel, che oggi farebbe  certo ridere a confronto delle camere da multi megapixel più diffuse.

La mia prima camera CCD “seria” fu una Starlight XPress MX 516 , cui seguirono altre che mi diedero modo non solo di apprendere nozioni di elettronica per me sconosciute, ma di cambiare mentalità: capii che l’era della pellicola era finita molto tempo  prima dell’uscita sul mercato delle reflex digitali, che diedero poi il colpo di grazia all’agonizzante supporto fotografico a base chimica.

Ripensandoci bene, poi, mi resi conto che vivevo un cambiamento epocale, del tutto simile a quello del passaggio dal collodio alla pellicola.Ma non finiva qui: la contemporanea evoluzione nel campo dell’informatica stava innestando una doppia rivoluzione; la sintesi del supporto digitale di ripresa e di quello informatico per l’elaborazione dei dati costituiva una straordinaria realtà, che non si era mai verificata prima nel corso dell’evoluzione umana, e che apriva orizzonti meravigliosi per l’astronomia professionale ed amatoriale.

Se oggi mi chiedessero in quale campo il progresso ha segnato una vera e propria rivoluzione nel secolo passato non avrei dubbi: l’elettronica ha cambiato la vita di tutti noi in modo così repentino ed inaspettato che ancora oggi facciamo fatica a prendere coscienza di ciò.Ed è singolare che proprio io, figlio di un diverso mondo ed una diversa realtà, me ne sia reso conto, presagendo in anticipo la diffusione delle fotocamere reflex digitali, prima nel mercato consumer e poi in quello più ristretto degli “amatori astronomi” per usare un inglesismo.

Quando mi capita di sfogliare dei testi di astronomia degli anni cinquanta – sessanta , come il celebre Cecchini, provo quasi un senso di tenerezza nel vedere le immagini professionali di allora, fatte con strumenti di parecchi metri e che all’epoca stimolavano oltre misura l’immaginario collettivo, oggi alla portata di trenta – quaranta centimetri con camere CCD : sono la prova più evidente e tangibile dell’enorme salto qualitativo degli ultimi venti anni e dei progressi dell’elettronica: grazie ad essa l’astronomia, amatoriale e professionale ha fatto in tale lasso di tempo più progressi che in tutti gli anni precedenti.

Nel 1993 persi anche mia madre, che lasciò, come prevedibile , un vuoto incolmabile: la sua pacata saggezza ridondava di secoli di storia napoletana, i suoi preziosi consigli mi avevano abituato a ragionare e riflettere sulle cose e sarebbero stati per sempre vicini a me, nella vita di tutti i giorni, nel lavoro e, perché no, anche nell’astronomia.

Nel 1997 ebbe luogo un altro avvenimento, che nacque in sordina, ma che avrebbe poi segnato in modo incisivo ed indelebile il mio hobby di astrofilo e la mia vita: la passione per la spettroscopia.

Ricordo che cominciai quasi per gioco, sulla base di alcuni articoli di riviste, a cercare di assemblare il mio primo spettroscopio, grazie ad un reticolo a riflessione, piuttosto malridotto , ma funzionante, del quale un amico mi aveva fatto dono.Col senno di poi devo oggi riconoscere che fu una realizzazione molto rimaneggiata, che oggi mi farebbe sorridere, ma riuscii non solo ad ottenere degli spettri solari leggibili utilizzando una telecamera Vixen, ma anche a fare poi un articolo per una rivista del settore.Fu la classica molla che fece scattare quello che sarebbe divenuto uno dei miei maggiori  interessi in astronomia : non so quale sia stata la sua origine, la bellezza dei colori reali di uno spettro solare, che mai nessun pittore potrà mai uguagliare a fondo, la mia vecchia passione per la pittura ad olio e la mia vena artistica mai sopita, o che altro; so solo che cominciai studiare ed approfondire tutto ciò che riguardava questa bellissima branca dell’astronomia.Non immaginavo, allora, che tale passione sarebbe poi ingigantita e divenuta predominante nei miei interessi astronomici, oltre che pratici: costruire spettroscopi non era, all’epoca, esattamente una bazzecola, e costruirli in casa facendo ricorso a pezzi in proprio possesso era ancora più difficile; ma furono proprio le difficoltà il mio stimolo a proseguire: all’inizio , prima che capissi i molteplici meccanismi della spettroscopia pratica fui molto vicino all’abbandono; sembrava che nulla andasse per il verso giusto, e che le righe degli elementi che costituisco il sole e le altre stelle fossero negate alla mia vista per qualche misteriosa ragione, ovviamente non era così e presto me ne resi conto: era solo una questione di tecnica, come in tutte le cose della vita.Così cominciai a costruire spettroscopi,e, man mano che le cose andavano meglio ed incominciavo a discernere le impronte digitali del sole, la prima delle stelle sulle quali mi sono cimentato, il mio entusiasmo aumentava sempre più, e così la mia passione autocostruttiva.Ormai sapevo tutto su reticoli, sistemi di movimentazione e meccanici in genere, schemi costruttivi, etc.Oggi possiedo nove spettroscopi, solari e stellari, grandi e piccoli, tutti funzionanti con la massima efficienza, da far invidia a strumenti professionali da migliaia di euro.Scoprii così la mia grande dote, il dono che la natura mi aveva dato e del quale non ero stato conscio sino ad allora: bastava che qualcuno mi desse dei meccanismi, dei pezzi sparsi, spesso senza alcun legame tra loro, ed io , come Re Mida, li trasformavo in qualcosa di utile.Sono ormai innumerevoli i casi in cui ho messo alla prova questa mia capacità: se in casa mi si rompe qualcosa, e non possiedo il pezzo, ne prendo un altro che nulla ha a che fare col primo e lo adatto; spesso alcuni artigiani, venuti a casa per fare riparazioni di vario genere e messi alle strette da qualche problema, si meravigliano a vedere come gli suggerisco la soluzione in pochi minuti.

L’interesse per l’applicazione pratica non lasciava tuttavia indietro quello per l’approfondimento teorico e per le grandi domande (e le scarse risposte ) dell’astronomia e dell’astrofisica.Molte di esse sconfinano nella filosofia, e questo mi faceva piacere perché dava libero sfogo alla mia fantasia : ho sempre immaginato l’esistenza di numerosi universi, nessuno dei quali in contatto tra loro, anticipando, anche nella mia ignoranza delle basi fisico- matematiche, le recenti teorie sul “multiverso”.

La passione per l’ottica si è inoltre sviluppata sempre più, portandomi ad acquisire una quantità notevole di strumenti, ed a provarne e testarne altrettanti.Naturalmente i libri ed Internet mi hanno aiutato molto, ma ancor di più mi ha aiutato la continua sperimentazione, anche delle cose più semplici ed apparentemente banali, come quella di combinare diversi tipi di filtri per ottenere risultati diversi a seconda della banda passante, quella di provare diversi tipi di maschere davanti agli obiettivi dei telescopi per studiare gli effetti sulla visione e sull’immagine, quella di provare le combinazioni ottiche più svariate con prismi , lenti, specchi.

Oggi, per valutare la bontà di un telescopio, non ho più bisogno di uno star test: mi basta dare un’occhiata nell’oculare ad un panorama terrestre , e difficilmente la mia prima impressione si rivelerà errata.

Ma torniamo ai tempi dei miei primi interessi in spettroscopia: erano allora, nel 1997, i giorni in cui il lavoro all'Ufficio legislativo del Ministero dell’Economia mi assorbiva quasi tutta la giornata, le presenze in ufficio la sera sino ad ora tarda e spesso anche nelle giornate festive erano all’ordine del giorno in connessione coi lavori delle Camere e l’impegno fisico e mentale era notevole.Non c’era quindi molto tempo per il lavoro in spettroscopia, che tuttavia andava avanti nei piccoli ritagli di tempo.Più tardi (nel 2000) sarei stato anche co-protagonista dello storico passaggio dalla lira all’Euro partecipando, nei limiti delle mie competenze, agli adempimenti necessari per l'adesione del nostro paese alla moneta europea.

Mio figlio Fabio intanto cresceva ed aveva bisogno di molte attenzioni, ed anche questo sottraeva altro tempo al mio hobby preferito., che tuttavia andava avanti, con osservazioni dal balcone di casa mia a Roma, con meno di 30° di cielo a disposizione per puntare il mio telescopio Celestron 11 su montatura equatoriale Losmandy G11.Riuscivo, tuttavia, ad effettuare tali osservazioni ed addirittura riprese con camere CCD per astronomia,ora divenute più grandi di sensore e maneggevoli ,e che avevo ricominciato ad usare dopo la prima debacle dovuta ai microscopici sensori dei primi modelli.

Successivamente andai avanti con la spettroscopia, assemblando numerosi strumenti dall’ottima resa in rapporto al costo: e la ricerca in questo campo era per me come le ciliegie, l’una tirava l’altra, ogni strumento realizzato che funzionava era un anticipo per uno successivo, eventualmente migliorato e perfezionato: dopo alcuni insuccessi iniziali, con la pratica acquisita, oggi posso dire di poter assemblare uno spettroscopio perfettamente funzionante in un paio d’ore, avendo ovviamente a disposizione i vari pezzi.Attualmente posseggo, come detto,  nove spettroscopi, di vari tipi, risoluzione e utilizzo, ed un altro in costruzione: la sperimentazione in questo campo è diventata fonte di inesauribile divertimento, ed andare nel cuore della materia che costituisce il sole e le altre stelle un appassionante continua scoperta.

Ciò non vuol dire che non mi appassiona più la visione di un bel cielo stellato, anzi, solo che ora ho imparato a guardarvi attraverso, ad immaginare quello che c’è oltre: se vedo una stella blu non mi fermo all’effetto ottico del colore, ma penso alle sue caratteristiche, massa, temperatura, etc.

La passione per la spettroscopia è stata quindi una svolta, un nuovo modo di interpretare e vedere non solo l’astronomia, ma anche il mondo che ci circonda, ad avvertire la musica degli atomi e delle molecole, di un microcosmo non certo meno appassionante del macro, anche se non lo possiamo osservare direttamente.Il solo pensare che la riga spettroscopica di un elemento atomico, come ad es. l’Idrogeno Alfa , che io spesso osservo sul monitor del mio PC come una sorta di albero scuro da 20 pixel  misura 1 Angstrom , ovvero 1 milionesimo di mm, e che quindi se ne può apprezzare in un solo pixel  1/ventimilionesimo di mm, è qualcosa che fa riflettere e affascina.

Negli ultimi tredici anni la passione per l’astronomia è andata quindi di pari passo con quella per la spettroscopia, che ho coltivato insieme ad altre passioni, più o meno intriganti e coinvolgenti.Una di esse è stata quella del tiro con l’arco, che scoprii per caso, nei primi anni 90, durante una vacanza in montagna, nel vicino Abruzzo.Era stato allestito un campetto di tiro per turisti, e mi ci recai incuriosito, nel ricordo degli archetti che mi fabbricavo da bambino: grande fu quindi la mia meraviglia nel notare la perfezione e la potenza degli archi moderni, anche se quelli di addestramento erano considerati archi di serie B; feci qualche tiro sotto la guida dell’istruttore e notai che grosso modo ci prendevo. Cominciai così ad appassionarmi , e mi iscrissi ad un campo sportivo di tiro a Roma, frequentato da ottimi tiratori, nei cui confronti mi sentivo un vero neofita, ma pian piano cominciai a fare un pò di pratica e le mie frecce si avvicinavano sempre più al centro.Poi acquistai archi diversi, un compound, due archi da addestramento e due take-down da tiro, tutti oggetti che posseggo ancora e che uso tuttora saltuariamente.

Gli undici anni di lavoro, dal 1996 al 2007, all’Ufficio legislativo dell’Economia mi impegnarono tuttavia, come detto, in modo costante e a fondo e non avevo molto tempo a disposizione per coltivare appieno le mie passioni, alle quali, astronomia e spettroscopia in testa, venivano riservati i week end (quando non si lavorava), feste comandate e ferie estive.

Nel 1998 ho acquistato  un piccolo appartamento in Ciociaria, agli Altipiani di Arcinazzo, vicino la conosciuta cittadina termale di Fiuggi, a 90 Km da Roma ed a 900 mt sul mare.Lì avevo, ed ho tuttora, la disponibilità di un bel terrazzo di circa 50 mq ed un cielo abbastanza buono, eccetto che nel mese di agosto, quando, insieme ai villeggianti , arrivano anche le luci e l’inquinamento luminoso.Tale appartamento è stato quindi per anni il mio punto di riferimento per le osservazioni astronomiche, che effettuavo in pratica quasi sempre nei mesi estivi, evitando, quando potevo, il mese di agosto e l’affollamento dei villeggianti.Il problema della montatura equatoriale per le osservazioni fu risolto con l’acquisto, ad un prezzo molto vantaggioso, di una grossa montatura Meade LXD 700 (quella che equipaggiava il rifrattore da 178 mm di apertura), con un sistema di ricerca automatica degli oggetti (protocollo LX 200) che mi agevolava molto nelle osservazioni, permettendomi una maggiore efficienza nei pochi giorni che avevo a disposizione la montatura, acquistata solo testa, era stata da me poi dotata di un cavalletto di legno autocostruito che dire massiccio sarebbe dire poco: le gambe erano tre paletti quadrati da 6 cm, il peso notevole, ma grande fu la mia soddisfazione, quando una sera, nel corso di una ripresa CCD, presenti due amici astrofili,dimenticando la ripresa in atto, diedi un pugno sulla punto di attacco della montatura al cavalletto, senza che la puntiformità delle stelle nell’immagine fosse minimamente intaccata .L’appartamento diventò il mio osservatorio estivo, nel quale mi dedicavo a tutto ciò che non potevo osservare da Roma, oggetti deboli in testa.Come ottiche usavo il mio fido Celestron 11, uno strumento di buona qualità ed affidabile, che avevo acquistato anni prima; certo portare al terzo piano per una rampa di scale  lo strumento non era impresa da poco, anche perché occorreva alzarlo da terra per non farlo sbattere sui gradini, ma non ero tipo da fermarmi per simili cose: col C11 e con una camera CCD che avevo poi acquistato in quel periodo,dotato di un sensore piccolo ma efficiente, feci interessanti osservazioni estive.Nell'ultimo periodo, tuttavia, lo spostamento del complesso treppiede- montatura (ca 40 Kg)  si è rivelata problematica, e, dopo essermi buscato uno stiramento muscolare ho deciso di passare, in loco, a qualcosa di più facilmente trasportabile ed usabile ed aggiornato nell'elettronica, come una Eq6.La gloriosa, vecchia montatura, che, con tutti i suoi limiti e le sue defaillances, mi aveva permesso tante osservazioni e riprese CCD per quasi un quindicennio è stata ora trasportata al mio Osservatorio di Ponte di Nona in Roma, il treppiede alleggerito e posta su un comodo (e massiccio) Dolly autocostruito che mi permette di spostarla con un dito.

 

 

 

Il terrazzo del mio appartamento di Arcinazzo, con la montatura LXD 700 ed uno dei miei tubi ottici

 

La vita, intanto, proseguiva, il mio lavoro, la crescita di mio figlio che richiedeva attenzione, mia moglie col suo lavoro ed i suoi problemi, non mi permettevano di dedicare molto tempo all’astronomia ed alla spettroscopia, la cui attività comunque proseguiva nei giorni festivi e  nelle ferie.Il mio parco strumenti cresceva, si evolveva ed era in una continua e permanente fase di ricambio; tra quelli acquistati ed autocostruiti ormai non avevo più posto dove metterli e nella mia stanza risultava ormai difficile muoversi , ma la passione dell’astronomia era divenuta intanto anche passione per l’ottica, la meccanica, l’informatica e cercavo di tener testa a  queste discipline con tutte le mie forze.

Nel mese di Agosto, quando potevo prendere le ferie per la chiusura delle Camere, mi recavo ad Arcinazzo con bagaglio a seguito , in genere due-tre valigie con tubi ottici, accessori, camere CCD,.Sfortunatamente proprio in quel periodo il paesello si animava come non mai e le luci inquinavano anche li il cielo altrimenti piuttosto scuro.Tuttavia il luogo era per me, abituato al cielo di Roma, una vera manna, e da quella postazione effettuavo interessanti osservazioni sull’universo che mi circondava, andando sempre più in profondità nello spazio e nel tempo :avevo in quel periodo una predilezione per gli ammassi di galassie, in particolare per quello in Ercole, che esplorai a fondo con una piccola camera CCD.

Gli anni novanta erano intanto passati,  ed il nuovo millennio iniziava con tutte le sue speranze, le paure, l’incertezza del futuro.Mio figlio passava dall’età scolare a quella adolescenziale e poi agli studi universitari con una rapidità che mi sembrava sconcertante, e mi induceva a non sempre serene riflessioni epistemologiche sul fine ultimo della nostra breve vita e su questo tremenda ed inesorabile realtà: il tempo, che condiziona, volenti o nolenti, ogni aspetto della nostra esistenza.

Confesso che ho spesso pensato, ed ancora oggi penso, al significato di questa breve parola, ed al suo contrario, il “non tempo” che sperimentiamo con la nostra morte.Spesso preferisco pensare alla mancanza del tempo, piuttosto che all’eternità, il tempo che dura in eterno, concetto piuttosto difficile da digerire per le nostre menti limitate, e probabilmente cosa non vera, in quanto anche l’universo in qualche modo prima o poi dovrà finire.Faccio finta allora di ignorare questa realtà incombente, questa spada di Damocle posta sulla nostra esistenza effimera con l’unica  cosa che può superarla finchè siamo in vita e lasciare traccia di noi quando non ci saremo più: la conoscenza. Conoscenza e consapevolezza di tutte le cose e dell’universo senza fine che ci circonda e di tutti gli altri che probabilmente potranno esistere al di fuori di esso.Questo mi fa sentire giovane, mi rinnova continuamente anche ora che ho 65 anni suonati, mi conserva in una bolla senza tempo, è l’unico modo di sconfiggere il nostro terribile nemico.

Ma tornando alla mia storia dopo questa breve disgressione, gli anni duemila videro intensificarsi sia il mio lavoro che la mia passione per l’astronomia, affrontata con sempre maggiore serietà ed attenzione,e, insieme al lavoro tecnico su strumenti, lenti e spettroscopi cominciai a dedicarmi alla parte informatica della mia passione, cercando di raccogliere in formato digitale le mie esperienze in campo astronomico.Nel 2005 nacque quindi “www. lightfrominfinity.org” il mio primo sito web, che , a distanza di sette anni dalla sua nascita ha segnato il notevole risultato di 2 milioni di pagine viste.Il sito era stato strutturato in modo bilingue, italiano ed inglese, proprio per rendere accessibili i suoi contenuti alla più vasta platea di appassionati possibile; a questo è ora collegato il nuovo sito web "pno-asptronomy.com".Intanto cambiava anche il mio modo di fare astronomia,col passaggio dall’osservazione saltuaria ed occasionale a quella pianificata sulla base del duplice criterio dell’originalità e della novità.Da anni ormai predispongo infatti dei piani osservativi  distinti per mese, con gli oggetti stellari, nebulari e galattici che ritengo di maggior interesse.La mia caratteristica, che è poi una parte del mio carattere, è la non ripetitività.Cerco anche , negli ultimi tempi, di trovare aspetti nuovi e diversi in oggetti comuni e molto osservati.

 

La "derobade"

 

Nel settembre 2007 ho lasciato l’Ufficio per dedicarmi a tempo pieno alla mia passione;non che il lavoro non mi piacesse, anzi, ma l’ambiente in cui vivevo era complesso ed avvertivo la necessità di un cambiamento  , così, giunto ormai al massimo della carriera di nomina non politica, ho ritenuto di dare una svolta alla mia vita, di effettuare quella che i francesi chiamano “la derobade”, la tirata di redini al cavallo perché cambi strada: la strada che volevo cambiare era ovviamente quella della mia vita: ne volevo vivere un’altra, la seconda e l’ultima, conforme ai miei sogni giovanili non realizzati, una nuova vita dedicata alla mia grande passione, l’astronomia.

Così dalla fine del 2007 è cominciata questa mia nuova esistenza di full immersion in vicende astronomiche, di completamento di molti miei progetti nel campo della spettroscopia (come il mio spettroscopio solare ad alta risoluzione VHIRSS), , di ricerca di nuove strade e mezzi per poter fare astronomia anche da siti ad alto tasso di inquinamento luminoso come Roma.Ho realizzato il mio primo Osservatorio stabile a Ponte di Nona, su un attichetto di mia proprietà, con un Celestron 14 ed una montatura GM 2000,e sto tuttora proseguendo questa mia attività organizzando quando possibile convegni, eventi astronomici, riunioni.Uno dei miei ultimi impegni, tuttora in fase embrionale, ma in continuo sviluppo, è stato quello dell’astronomia infrarossa (del vicino IR, ovviamente) che mi è sembrato un sistema efficiente per bypassare i problemi dell’inquinamento luminoso e del seeing.

Nel 2009 ho accettato l'invito del Presidente della Unione Astrofili Italiani del periodo, l'amico Emilio Sassone Corsi, di assumere la responsabilità  della Sezione di ricerca di Spettroscopia della UAI , attività cui mi dedico con piacere, nell'interesse della comunità degli astrofili italiani.L'aspetto fisico cambia, gli anni passano, ma la passione è sempre quella, immutata, di oltre 55 anni fa.Nell'ambito dell'attività della UAI ho organizzato, nel 2010 e nel 2011, due Seminari di Spettroscopia  presso gli Osservatori di Asiago e di Arcetri, che hanno riscosso un notevole successo tra gli appassionati.

 

 

Alle prese con uno dei miei numerosi spettroscopi autocostruiti

 

 

                                               Accanto allo spettrografo del riflettore di 122 cm dell'Osservatorio di Asiago, in Occasione del Seminario di Spettroscopia UAI, nell'aprile 2010

 

La dimostrazione del funzionamento di un reticolo a trasmissione in occasione del Seminario UAI -INAF del giugno 2011 ad Arcetri, da me organizzato per conto UAI

 

Un ringraziamento, non privo di un accenno di commozione, al Presidente UAI Mario di Sora per il conferimento del premio Ruggeri per i risultati conseguiti nel campo dell'astronomia amatoriale, in occasione del Congresso UAI 2011 a Senigallia.

 

Lo strumento principale dell'Osservatorio di Ponte di Nona : un Celestron 14 ed una splendida vista di Roma, cupola di S. Pietro compresa

 

Cuore del Cosmo, sì, ma perchè "solitario"?

 

 

Sono un carattere socievole e portato all'amicizia ed alla partecipazione sociale, ma quando osservo amo la solitudine.Amo stare a tu per tu con l'Universo, amo sentire la sua voce, raccogliere sulla matrice di silicio del mio CCD fotoni partiti milioni e milioni di anni fa:guardare sullo schermo del mio PC galassie lontane un abisso di anni luce, ed avvertire il brivido sottile dell'enormità di ciò che ci sta davanti.Può esserci cosa più affascinante?io sono convinto di no, e sono anche convinto che se molti indulgessero a tali attività e riflessioni forse il mondo che ci circonda sarebbe meno assurdo, più umano, in una parola, migliore.Non credo infatti molto nell'umanità nel suo complesso, un'umanità che negli ultimi centomila anni (e forse anche da prima) non ha trovato nulla di meglio da fare che studiare sempre migliori mezzi di distruzione reciproca, di usare lo sterminio come mezzo trascendente, elevandolo a nobile causa, di inventare sempre più sofisticati sistemi per arrecare morte e dolore.Parlo, ovviamente in via generale, dato che lo sparuto numero di Giusti vissuti nelle varie epoche storiche ed oggi ben poco ha potuto fare per cambiare tutto ciò.Stare a tu per tu con l'Universo forse vale a mediare tutto ciò, a chiedere scusa per la nostra infinita e stupida protervia, a tentare di rendere meno terribile il nostro stato.

Vorrei concludere questa mia breve storia, che potrà forse interessare alcuni ed annoiare altri, con una considerazione del momento.Molti considerano l'astrofilia, la passione per l'astronomia , alla stregua di un mero hobby, come la raccolta di francobolli, la passione per gli scacchi o quella per la fotografia, qualcosa da poter utilizzare nei momenti liberi, per distrarsi dalle occupazioni ed i pensieri della vita di tutti i giorni, e per completare e rendere più piacevole la vita stessa.

Per me l'astronomia è stata ed è una ragione di vita, un mezzo per tentare di comprendere la complessità estrema dell'universo che ci circonda e, per converso, della stessa terra  in cui viviamo.

E' stato un modo per sentire la magia dei forse molteplici universi accanto al nostro, e per avvertire la piccolezza del nostro stato, la nostra  trascurabile ed effimera entità, un 'esperienza che sfiora il misticismo, che fa superare le nostre piccolezze morali e materiali, un'esperienza , quindi, che contribuisce in modo sostanziale a dare quell'umanità che tanti cercano e pochi trovano.Il mistero dell'eternità della vita e della meravigliosa struttura della realtà, la comprensione dei nessi causali è troppo affascinante per non essere approfondito con tutte le nostre forze.

Non voglio in alcun modo dare lezioni di etica; ognuno vive le proprie passioni , le proprie religioni come meglio crede.Voglio solo spendere una parola per incoraggiare i giovani che si accostano a questa splendida realtà ad osservarla da un diverso punto di vista: non solo un hobby che diverte e appassiona, ma qualcosa che affascina, che stimola la curiosità e la creatività, che ci eleva e ci migliora, che ci pone su di un  diverso piano di   consapevolezza, che stimola il nostro desiderio di trascendenza.

E' anche un modo di tentare di dare una risposta alle infinite domande della nostra vita, che mi assillano da sempre, che ritornano riaffiorando nel mio inconscio:

Chi siamo?

La storia dell'umanità, come dicevo, è stata un susseguirsi di esperienze terribili e distruttive: sin da quando abbiamo memoria, il fine ultimo degli uomini è stato quello di distruggersi l'uno con l'altro; l'odio ha regnato e regna ancora sovrano; i motivi sono stati molteplici e tutti a prima vista plausibili: quello economico, quello religioso, il semplice egoismo.Non credo sinceramente che le cose possano evolvere in meglio in futuro, è lecito quindi prevedere che con l'evoluzione dei sistemi di distruzione di massa l'umanità trovi finalmente il modo di autodistruggersi in modo totale e forse definitivo.Sorge allora spontanea la domanda: siamo una razza progredita, o semplicemente dei parassiti che hanno infettato il pianeta terra e che si cannibalizzano l'un l'altro?E qui torniamo al punto precedente: il progresso scientifico e tecnologico della razza umana è stato solo funzione della necessità di distruzione, di poter sopraffare il nemico, di poter scatenare l'odio.Non vedo quindi nulla di nobile in questo progresso, nulla che ci ponga in condizione di poter accedere all'Olimpo delle razze progredite dell'Universo, se ce ne sono.L'acquisizione della conoscenza pura è stato quindi sempre finalizzato, prima o poi, all'applicazione tecnologica bellica, ma una cosa è certa, se le cose continueranno così per noi, per i nostri figli e nipoti non c'è futuro, non ci saranno le stelle, ma solo il nostro annullamento.Mi dispiace sinceramente di esporre tali convinzioni, ma sono pessimista sul futuro dell' umanità.Diceva una volta Sir Bertrand Russel in un suo celebre libro "se da un paniere pieno di  uova i tre quarti sono marce, cosa mi autorizza a pensare che le restanti siano buone?"

Possiamo migliorarci?

Rispondere a questa domanda è facile e difficile allo stesso tempo, per il semplice motivo che non mi sembra ci siano molti segnali che possano indurre all'ottimismo.Lo straordinario sviluppo dell'elettronica e dell'informatica dell'ultimo ventennio se da un lato ha permesso una comunicazione globale e l'accesso ad una enorme quantità di informazioni in tempo reale, dall'altro ha provocato, a mio avviso, una perdita di socializzazione e di alcuni fondamentali valori di vita: l'amicizia; la capacità di comprensione e di integrazione col prossimo, l'altruismo.Inutile, quindi avere 1000 "amici" su Facebook ed essere allo stesso tempo incapace di instaurare un dialogo col vicino di casa con cui si è in lite o comprendere le esigenze di un povero.La vera civiltà passa attraverso due canali obbligati: il superamento degli egoismi e della cieca cattiveria che a quelli si accompagna, e la comprensione del prossimo.La scienza e la conoscenza  sono un potente stimolo per ottenere tali risultati, ma da soli non bastano, occorre la volontà dei singoli, e come dicevo, la ferma convinzione che il progresso tecnologico non venga messo al servizio della parte malvagia del genere umano e causi la distruzione di quest'ultimo.Tutto sommato, per non lasciarsi trascinare dall'odio, dal risentimento, basta dare ascolto a quella parte più giovane, più immediata e sincera del proprio animo, quella che G. Pascoli chiamava "il fanciullino" essa ama le cose semplici,  le novità, ed è spinta dalla curiosità per il mondo e l'universo che ci circonda;essa non farà mai del male.La "luce dall'infinito" potrà allora entrare nelle nostre coscienze, oltre che nelle nostre menti.

 

 

 

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